lunedì 28 febbraio 2011

Vorrei condividere una citazione a mio parere molto importante che potrebbe essere fonte di una riflessione personale:

"Gli uomini non sono spinti ad agire dalle cose in se stesse ma dalle idee che per loro esse rappresentano"
Epiteto

 Quanto il nostro modo di interpretare gli eventi influisce la nostra realtà?
Pensieri e sentimenti non sono poi così nettamente separati?

Sicuramente il modo in cui ci rapportiamo la realtà deriva anche dal modo in cui ci "rappresentiamo" la realtà stessa.

giovedì 17 febbraio 2011

Notizie - Così il sesso "spegne" l'aggressività. I due istinti nella stessa area cerebrale.

Notizia tratta da La Repubblica.it


Una ricerca pubblicata su Nature ha localizzato la zona del cervello in cui i neuroni "attaccabrighe" convivono con quelli del sessualità. Gli scienziati sono riusciti a scatenare artificialmente il comportamento violento delle cavie attraverso "scariche" di luce blu che però non avevano alcun effetto durante l'accoppiamento

di ADELE SARNO
ROMA - Il sesso riesce a "spegnere" l'aggressività. E il collegamento tra questi due istinti, all'apparenza distanti, si nasconde nel cervello. La scoperta si deve a un gruppo di ricercatori americani che per la prima volta ha individuato il luogo dove risiedono i neuroni responsabili del comportamento aggressivo. In particolare, secondo lo studio pubblicato su Nature 1, questa popolazione di cellule 'attaccabrighe'  è localizzata nell'ipotalamo ventromediale, quella piccola zona del cervello che ospita anche i neuroni che governano la sessualità. La ricerca, per adesso, è stata condotta sui topi, ma l'ipotalamo e le sue suddivisioni sono universali, per cui è molto probabile, dicono i ricercatori, che i collegamenti riscontrati nei topi si ritrovino identici anche nell'uomo.

Durante la prima parte della ricerca, Dayu Lin, David Anderson e i colleghi del California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena hanno identificato la zona del cervello responsabile dei comportamenti violenti. Sono partiti da studi precedenti che avevano localizzato genericamente l'area dell'aggressività nell'ipotalamo. E lo avevano fatto grazie all'elettrostimolazione sul cervello dei gatti e dei ratti. Per individuare con maggior precisione il vero centro dell'aggressività, Lin e Anderson hanno monitorato l'attività cerebrale dell'ipotalamo delle cavie durante una serie di "scontri" programmati dai ricercatori stessi. Un tag luminoso faceva emergere le zone più attive. "Sorprendentemente sia durante il sesso sia nei combattimenti - spiegano gli studiosi - si attivano i neuroni di una regione chiamata ipotalamo ventromediale (Vmh)".

E' su quest'area che i ricercatori si sono quindi concentrati per comprendere le basi del comportamento aggressivo. L'indagine ulteriore è stata portata avanti servendosi dell'optogenetica, un metodo che abbina tecniche di rilevazione sia ottiche che genetiche e consente non solo di misurare le varie aree cerebrali, ma anche di "manipolare" artificialmente i circuiti neuronali all'interno di cervelli intatti di mammiferi e di altri animali, provocando reazioni in un tempo nell'ordine dei millisecondi. 

I ricercatori hanno dunque introdotto nel cervello degli animali un gruppo di geni che li rendesse sensibili alla luce blu. Poi hanno messo degli elettrodi sul cranio delle cavie per 'fotografare' ciò che accadeva nel cervello, mentre queste si accoppiavano o combattevano tra di loro. A questo punto, grazie a una fibra ottica impiantata nel cervello di questi topi, Lin e Anderson potevano "bombardare" questi neuroni e studiare le reazioni così indotte (in pratica, con un flash si trasformava un animale mansueto in violento) nel comportamento degli animali.

I risultati parlano chiaro: quando gli studiosi, attraverso una "scarica" di luce blu, scatenavano i neuroni 
dell'aggressività e nella gabbia c'erano solo topi maschi, questi attaccavano immediatamente i propri simili - animali anestetizzati o castrati - ma anche oggetti inanimati. Se invece l'esperimento si ripeteva in presenza di femmine nella gabbia, il comportamento era lo stesso solo in partenza: l'aggressione mutava rapidamente nell'atto sessuale e soprattutto diventava impossibile innescare artificialmente l'istinto violento mentre gli animali si stavano accoppiando. "Sembravano essere rapiti dal sesso - hanno detto gli studiosi - , erano chiusi nel loro mondo e non reagivano ad alcun impulso. Tuttavia, l'attivazione del circuito di aggressione nel maschio post-coito provocava di nuovo un attacco rapido sulla femmina".

"Il nostro studio  -  dicono Lin e Anderson  -  suggerisce l'esistenza di un legame tra il sesso e l'aggressività. Questo groviglio di circuiti cerebrali è il modo che usano i topi per gestire i propri rapporti sociali. Il desiderio e il sesso sopprimono i comportamenti violenti, mentre in presenza di uno soggetto 'sconosciuto' si attivano le reazioni che servono all'animale per proteggere se stesso da un invasore di sesso maschile".

(10 febbraio 2011

martedì 15 febbraio 2011

Notizie - "Labirinto Ikea: ecco perchè non puoi uscirne a mani vuote"



Riporto uno studio interessante trovata su larepubblica.it


Ricercatori dello University College di Londra hanno analizzato la planimetria dei centri commerciali: nel mobilificio svedese tutto è studiato per indurre i clienti all'acquisto

di SARA FICOCELLI

SALOTTI che invogliano a riposare in poltrona, cucine che sfociano in bagni che a loro volta sbucano verso un altro salotto: non è un film di David Lynch ma il labirintico mondo Ikea, progettato e realizzato non solo per permetterci di arredare 45mq con 4500 euro ma anche per farci comprare, comprare, comprare. E per convincere un innocuo visitatore a trasformarsi in un compratore compulsivo non c'è cosa migliore che imprigionarlo nelle manette soft della perdizione mentale.

Quello che molti sospettavano ha oggi una dimostrazione scientifica. L'hanno elaborata i ricercatori dello University College di Londra, che studiando la logica alla base della planimetria dei centri commerciali hanno notato qualcosa di strano: percorsi arzigogolati, fatti apposta per impedire a chi entra di tornare indietro. Una volta entrati nel paradiso dei mobili svedesi a buon mercato, insomma, bisogna andare fino in fondo, e se anche si entra per comprare un vaso da orchidea è probabile che si esca con un tavolino infilato a forza nel portabagagli. L'"effetto labirinto", così lo hanno battezzato gli studiosi guidati da Alan Penn, ha proprio lo scopo di mantenere i clienti tra corridoi ed espositori il più a lungo possibile, facendoli perdere tra mobili minimalisti componibili e invogliando il cervello a comprare.

''L'organizzazione del negozio è così confusa che il cliente non sa se sarà in grado di tornare indietro. Così mette l'oggetto nel carrello e tira avanti'', spiega lo studioso, direttore del Virtual Reality Centre for the Built Environment dell'università britannica. Un ritratto che però l'azienda svedese mostra di non gradire: ''I nostri negozi sono progettati per dare ai clienti diverse idee su come arredare la propria casa, dalla cucina alla stanza da letto - ribatte Carole Reddish, vice direttore delegato di Ikea per Gran Bretagna e Irlanda - Mentre molti clienti vengono in negozio per ispirarsi, altri arrivano con una precisa lista degli acquisti realizzata dopo aver consultato i nostri cataloghi cartacei e online''.

Con una rete di 258 negozi in 37 Paesi e un fatturato che nel 2009 ha raggiunto i 21,5 miliardi di euro, Ikea è una delle multinazionali più fortunate al mondo. Dal ristorante interno a base di specialità della cucina svedese al catalogo pubblicato in 52 diverse edizioni, di cui ogni anno vengo stampate 198 milioni di copie, l'azienda ha sempre dimostrato una certa sagacia nell'utilizzo delle strategie di marketing.

"Alla base di certe modalità di presentazione dei prodotti - spiega Stefano Canali, storico e filosofo della scienza e ricercatore per la Sissa (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) nel campo delle basi biologiche dei comportamenti compulsivi - c'è lo sfruttamento di due meccanismi cerebrali: il primo è quello di ricompensa e gratificazione, che si attiva grazie alla dopamina, un neurotrasmettitore che entra in funzione in presenza di novità. A contatto con novità continue, come la presentazione di prodotti che teoricamente possono esserci utili per vivere meglio, il cervello attiva sequenze comportamentali finalizzate al consumo. Il secondo meccanismo è quello della cosiddetta "ego-depletion" (in italiano "ego-sottrazione" o "ego-privazione") che è la progressiva perdita delle capacità cerebrali di resistenza al consumo, controllate dalla corteccia prefrontale". Di fronte a una tentazione continua, conclude l'esperto, è insomma fisiologico che la volontà prima o poi ceda, spingendoci a comprare cose che non ci servono e riducendoci, come cantavano i Clash, "Lost in the supermarket".

giovedì 10 febbraio 2011

Per una definizione di "Stalking"

Il termine “Stalking” deriva letteralmente dall’inglese “To Stalk”...

per leggere l'articolo completo clicca sul link in basso

Leggi l'articolo completo.

lunedì 7 febbraio 2011

Notozie - Anoressia, un "difetto" nel cervello ci fa vedere diversi da ciò che siamo

Interessante articolo tratto da Repubblica.it del 4 Febbraio 2011


Uno studio italiano scopre una nuova causa "endogena" della malattia. Chi ne soffre ha una riduzione di volume delle aree cerebrali coinvolte nella rappresentazione mentale di sé e nella manipolazione delle immagini mentali. È la prima volta che si attribuisce una base neurobiologica alla patologia

di ADELE SARNO
ROMA - Guardandosi allo specchio hanno una percezione alterata della propria immagine. Per questo non si sentono mai abbastanza magre e smettono di mangiare, ammalandosi così di anoressia. La colpa è di un 'difetto di fabbrica' del cervello che è più vulnerabile in quelle aree coinvolte nella rappresentazione mentale di sé e nella manipolazione delle immagini mentali. La scoperta si deve a un gruppo di ricercatori italiani che, sulle pagine di Psychiatry research: Neuroimaging 1, spiega come nelle persone malate di anoressia si assista a una riduzione del volume del cervello, un meccanismo questo che è capace di modificare la percezione di sé stessi.

L'anoressia è una malattia che parte dalla mente per poi arrivare al corpo devastandolo nella sua biologia. Lo studio è stato realizzato al Dipartimento di neuroscienze dell'ospedale Bambino Gesù di Roma da Santino Gaudio, medico psichiatra, impegnato in diversi progetti di ricerca con importanti ospedali italiani, ed è il primo a riconoscere una base neurobiologica alla distorsione dell'immagine corporea, sintomo cardine dell'anoressia nervosa. Quel meccanismo cioè che induce una persona affetta da questo disturbo alimentare a pensare di non essere mai abbastanza magra e che, addirittura, lo porta a temere di ingrassare anche quando si versa in uno stato di denutrizione.

"Il nostro studio - spiega Gaudio - scopre una nuova possibile causa di questo disturbo alimentare. Fino ad oggi infatti abbiamo sempre considerato l'interazione di molteplici fattori: biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici. Ma finora non era stata ricercata la causa nella struttura cerebrale". Per comprendere il rapporto tra le misure del cervello e l'origine dell'anoressia nervosa, i ricercatori hanno utilizzato la morfometria basata sui voxel (Vbm), una tecnica di analisi in neuroimaging che consente proprio di calcolare il volume di aree specifiche del cervello. In questo modo sono riusciti a confrontare la quantità di materia grigia presente nel cervello di 16 adolescenti con anoressia nervosa restrittiva (senza alcun altro disturbo psicologico) e di 16 ragazze adolescenti sane.

L'analisi ha rivelato una significativa diminuzione del volume di materia grigia nelle pazienti affette da anoressia. E in particolare il volume "ridotto" riguardava quelle aree - lobo parietale inferiore e superiore - coinvolte nella manipolazione delle immagini mentali e nella rappresentazione mentale del sé. "Va detto però - dice il ricercatore - che nelle giovani donne malate del campione l'anoressia durava da meno di un anno. La media infatti era di cinque mesi, un lasso di tempo in cui la malattia non poteva aver modificato con il dimagrimento la struttura cerebrale". Nelle ragazze affette da anoressia, dunque, il "difetto" preesisteva e poteva fare la sua parte nel fornire alla malata un'immagine distorta del proprio corpo.

"Anche se ci sentiamo ancora all'inizio  -  dice Gaudio - siamo molto soddisfatti. Il nostro studio ha svelato un volto nuovo dell'anoressia. Sarà necessario andare avanti con nuove ricerche su questa strada per arrivare anche a nuovi trattamenti. Per esempio a terapie più centrate sulla riorganizzazione dell'immagine del sé e del proprio corpo".
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