sabato 30 luglio 2011

Buone Vacanze!

Il Blog va in vacanza per una pausa estiva.

Auguro a tutti di passare delle buone vacanze!


venerdì 22 luglio 2011

Paura: leoni VS pecore



La paura: una intensa emozione derivata da una percezione di pericolo reale o supposto. 

Essa, utile per la nostra sopravvivenza, insorge ogni qual volta si presenta una possibile minaccia alla nostra integrità.

Sebbene sia accompagnata da innumerevoli comportamenti ed indici psicofisiologici, ognuno di noi reagisce diversamente di fronte ad essa.

Alcuni dinanzi ad un pericolo scappano, fuggono; altri, invece, si 
immobilizzano.

Ma perché di fronte ad una stessa emozione proviamo comportamenti così diversi?

Per rispondere a tale quesito è utile sottolineare il ruolo chiave svolto dall'ossitocina.

L’ossitocina è un ormone peptdico prodotto dai nuclei ipotalamici e secreto dalla ipofisi. Esso svolge un ruolo cruciale durante il parto, nello sviluppo delle comportamenti sociale e nel controllo dell’ansia.

In seguito a degli studi condotti da ricercatori svizzera sui ratti per comprendere se le  reazioni alla paura potessero variare solo in intensità o anche nella loro tipologia, si è scoperto quanto segue.

I ricercatori hanno visto che specifici gruppi di neuroni nell'amigdala controllano ciascuno una specifica componente della reazione dell'animale di fronte ad uno stimolo che lo spaventa, in particolare la tendenza all'immobilizzazione o l'aumento della frequenza cardiaca. E hanno osservato come l'ossitocina sia in grado di diminuire la reazione di paralisi, senza influenzare la frequenza cardiaca. 

Iniettando ossitocina, in pratica, l'animale tende a immobilizzarsi molto meno. Si comporta esteriormente come se non avesse paura, ma se si esaminano le sue reazioni fisiologiche, si vede invece che il suo cuore batte velocemente, classico sintomo dello spavento. Quindi è' possibile, tramite l'ormone, influire su una determinata componente, lasciando inalterate le altre, come, appunto la frequenza cardiaca. 

Quindi, quale la differenza tra i “leoni”, che dinanzi ad un pericolo aggrediscono, e le “pecore” che invece rimangono immobilizzate?

La differenza potrebbe essere dunque a livello dei recettori dell'ossitocina, che, se sono più attivati, rendono più coraggiosi.

I risultati della ricerca condotta in Svizzera potrebbero aprire prospettive interessanti a livello clinico per i disturbi di ansia, gli attacchi di panico o i disordini post-traumatici, portando a sviluppare farmaci più mirati, che potrebbero "agire sul comportamento, lasciando intatto il 'sentimento' di pericolo.

Per ulteriori approfondimenti si consiglia il seguente link:

martedì 19 luglio 2011

Notizie: Dietro il morbo di Parkinson scoperta una mutazione genetica.

Posto un articolo molto interessante tratto da Repubblica.it.


Lo si può reperire al seguente link:
http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2011/07/15/news/una_mutazione_genetica_dietro_il_morbo_di_parkinson-19187806/



TORONTO - Scienziati dell'università canadese della British Columbia hanno scoperto un legame tra una mutazione genetica e il morbo di Parkinson.

La mutazione - chiamata VPS35 -è stata isolata attraverso sofisticate ricerche con campioni di Dna di una famiglia svizzera in cui ben 11 individui hanno sviluppato la malattia. Carles Vilarino Guell, ricercatore al Centro di Medicina molecolare e terapeutica, ha dichiarato che i campioni di Dna sono stati presi da due cugini. 

Usando l'analisi genetica per confrontare le variazioni tra i cugini, sono riusciti a identificare il gene mutato. 

Questo prova senza ombra di dubbio, secondo Vilarino-Guell, che la mutazione è causa della malattia e che la maggior parte della gente che nasce con questa mutazione sviluppa il Parkinson a circa 50 anni.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista American Journal of Human Genetics. Cinque altri geni che causano il Parkinson erano stati già identificati, ma questa è la prima grande scoperta nel campo dal 2004. La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione dell'attore Michael J. Fox.
(15 luglio 2011)


martedì 12 luglio 2011

Notizie - Depressi a 40 anni? Colpa di una 'U' La felicità sale, scende e poi ritorna




Posto un articolo interessante di Irma D'Aria tratto da Repubblica.it
Lo trovate al seguente link:

Uno studio inglese rileva che in Europa un quarantenne su 10 ha assunto almeno un antidepressivo nel corso del 2010. Tutto dipende da benessere psichico che ha un picco positivo in giovane età, poi cala intorno a quota 40, per poi reimpennarsi in età avanzata

di IRMA D'ARIA
ROMA - La depressione arriva insieme alle prime rughe. A 40 anni, in genere, si è all'apice della carriera e si è indaffarati a crescere i figli. È il momento della vita in cui dovremmo essere più appagati. E, invece, un recente studio europeo, pubblicato dall'IZA Institute di Bonn, dimostra che proprio a 40 anni si è più depressi. I ricercatori delle Università di Warwick e di Stirling hanno scoperto che un quarantenne su 10 in Europa ha assunto almeno un antidepressivo nel corso del 2010. In vetta alla classifica ci sono Inghilterra, Portogallo, Francia e Lituania, mentre l'Italia si posiziona molto in basso con appena l'1% della popolazione di 40enni alle prese con i farmaci antidepressivi per più di quattro volte a settimana. Ad essere più colpite sono le donne disoccupate, divorziate o separate. 

"Nella nostra società così opulenta e piena di certezze - dice Andrew Oswald, coautore dello studio - ci sono troppe persone che si affidano alla possibilità di una felicità chimica". Ma perché proprio a 40 anni? L'ipotesi dei ricercatori è che la felicità segua una linea a "U". In pratica, il benessere psichico ha un picco positivo in giovane età, poi cala fino a un minimo intorno a quota 40, per poi reimpennarsi in età avanzata. La depressione, invece, ha il suo picco massimo proprio intorno ai 40-44 anni quando siamo impantanati in una vita di stress e tensioni sia al lavoro che nella vita privata. "Da giovani - spiega Oswald -siamo felicemente ottimisti ma abbiamo aspirazioni impossibili, tipo vincere il torneo di Wimbledon o avere tanti soldi da poter vivere a Wimbledon. Poi quando siamo a metà strada nella vita, ci rendiamo conto di quanto sia difficile realizzare i nostri sogni e sperimentiamo il fallimento". E questa è una fase dolorosa che può spiegare il motivo per cui tanta gente si affida a un farmaco. "Il maggior consumo di antidepressivi da parte dei quarantenni - dice il professor Alberto Siracusano, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Roma Tor Vergata - segnala la necessità di un trattamento della depressione in una fascia d'età delicata perché è quella in cui si cominciano a fare dei bilanci su vari aspetti della vita. Ma questo non significa che prima o dopo i 40 anni la depressione non ci sia. Solo che si cerca di combatterla senza farmaci oppure la si nega". Poi superata questa fase di consapevolezza, si arriva ai 50 anni e la saggezza dell'età ci aiuta ad accettare le imperfezioni della nostra vita. Così gradualmente, intorno ai 60 anni, torna il sorriso. Ne viene fuori un grafico che mostra un andamento curvilineo ad U che corrisponde poi alla curva dei consumi dei farmaci antidepressivi emersa dallo studio dei ricercatori. In Italia a soffrire di depressione è una percentuale che oscilla tra il 10 e il 15% della popolazione. E i farmaci più utilizzati? "Quelli più prescritti" risponde l'esperto "sono gli SSRI, inibitori della serotonina, e gli SNRI, gli inibitori della serotonina e noradrenalina".    E a proposito del "male oscuro", un altro studio, pubblicato dal Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, dimostra che i figli di mamme che hanno sofferto di depressione post parto sono quattro volte più a rischio di depressione durante l'adolescenza. "Il rischio aumentato"  hanno scritto gli autori dello studio "mette in luce la necessità di screening post natali per intervenire precocemente. Dalla ricerca è emerso anche che un rapporto conflittuale con il partner e ulteriori episodi di depressione anche lontano dalla nascita possono scatenare la depressione nei bambini". Un fenomeno che si collega bene alla ricerca sui quarantenni visto che in tutta Europa sono sempre più numerose le mamme over 40. "A qualsiasi età" spiega il professor Siracusano "una sana relazione madre-figlio è fondamentale. Se la mamma è depressa significa che è assente e ciò avrà senz'altro un effetto negativo sullo sviluppo del bambino". 
(23 giugno 2011)


venerdì 1 luglio 2011

Notizie - Svezia, l'asilo dei bambini senza sesso


Posto un articolo interessante di Eva Perasso tratto dal Corriere della Sera.

Mi piacerebbe sapere che ne pensate.

Lo trovata al seguente link:


Si chiama Egalia e i piccoli vengono apostrofati tutti con il pronome neutro «hen» usato nei circoli femministi

(Ap)
(Ap)
MILANO - Accanto alla cucinetta e alle verdure finte, ci sono i mattoncini Lego e gli aeroplani, e tra le bambole – rigorosamente nere - spuntano robot e il modellino di un treno giapponese. Niente adesivi colorati azzurri e rosa e fiocchetti sui grembiulini, e il divieto assoluto per maestre e inservienti di appellarsi ai bimbi usando il pronome «lei» o «lui». Ecco le regole dell'asilo Egalia, dove tutti i piccoli sono uguali e dove si impara a non discriminare interessi e diritti partendo dal sesso del singolo individuo.
UNA SCUOLA PER POCHI – Aperto dallo scorso anno, vanta una lista d'attesa lunghissima: ha solo 33 posti, troppo pochi rispetto alle richieste della zona, il distretto di Sodermalm, isoletta densamente popolata poco a sud del centro di Stoccolma, Svezia. E vanta anche – raccontano orgogliose le maestre - un numero molto basso di defezioni: nonostante il programma pedagogico sia rigido, solo un bimbo si è ritirato nel corso del primo anno di attività.
IL PROGETTO PEDAGOGICO – Alla base del progetto di Egalia sta la lotta alla discriminazione sessuale. I bimbi, tutti da 1 a 6 anni, non vengono chiamati a seconda del loro sesso ma sono appellati indistintamente con il nome «friend», amico/a, e per dire «lui» o «lei» viene usato il pronome neutro svedese «hen», inesistente nel vocabolario svedese ma usato nei circuiti femministi ed omosessuali. I giochi e i libri sono mischiati, nella tipologia e nei colori, senza creare aree spiccatamente femminili separate da zone maschili. Un esperto di differenze di genere segue gli iscritti ed istruisce le maestre, tutto all'insegna della totale parità. «La società si aspetta che le bambine siano femminili, dolci e carine e che i bambini siano rudi, forti e impavidi. Egalia dà invece a tutti la meravigliosa opportunità di essere quel che vogliono», dichiara una delle insegnanti. Oltre a insegnare a non discriminare i generi, nell'asilo Egalia si gioca con bambole di colore e si leggono libri che raccontano anche storie diverse, come l'amore tra due giraffe maschi. E in libreria non compaiono i classici come Cenerentola e Biancaneve, così ricchi di stereotipi sulla figura femminile.
LE CRITICHE – Ma non tutti apprezzano il progetto pedagogico, e molti si chiedono se davvero tali accorgimenti servano a sradicare lecredenze sessiste nei più piccoli, o se non finiscano semmai per confondere ulteriormente la socialità dei bimbi tutta in divenire. La lotta alla discriminazione e alla parità tra i sessi, cavallo di battaglia della Svezia, ha portato a un'esagerazione e a una sorta di «follia di genere», sostengono alcuni opinionisti. Mentre altri mettono in guardia: impedire ai maschi di trasformare un bastoncino in una spada e di urlare facendo la lotta potrebbe sortire l'effetto contrario.
Eva Perasso
29 giugno 2011
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...